Cece - Cicerchia - Minestra - Virtù
Grazie al ritorno in auge dei piatti popolari della tradizione regionale, gastronomi e buongustai hanno riscoperto l’importanza dietetica di cibi secolari come i legumi e il farro, un tempo considerati la "carne dei poveri" per la loro eccezionale ricchezza in proteine, carboidrati, fibra, vitamine e sali minerali, per di più a basso costo e di sicura genuinità, considerato che la loro coltivazione non richiede interventi di natura chimica e organica.
I ceci sono legumi molto antichi, noti fin dai tempi degli antichi egizi, che però li consideravano cibi per poveri e infatti venivano dati solo agli schiavi.
Gli antichi romani apprezzavano molto i ceci, soprattutto fritti in olio di oliva, pratica rimasta anche ai giorni nostri, soprattutto in alcune zone del meridione.
Rispetto alla media, i ceci di Navelli mostrano un minore contenuto in carboidrati e lipidi ma un tenore proteico maggiore. Possiedono un contenuto elevato di calcio ma basso di ferro.
Il cece di Navelli ha semi di diametro di 7, 8 millimetri, color crema chiaro o (meno frequentemente) color ruggine, anch’essi molto saporiti.
Ogni anno, nel mese di agosto si svolge a Navelli la sagra omonima che richiama migliaia di turisti.
Il cece di Navelli é una pianta rustica, si adatta a terreni aridi, leggeri, anche ricchi di scheletro, a clima caldo arido. Sono inadatti i terreni molto fertili poiché favoriscono lo sviluppo vegetativo a scapito della fruttificazione; né vanno bene quelli argillosi perché asfittici e soggetti a ristagni idrici. Il cece resiste alla siccità e non sopporta l’umidità eccessiva sia del suolo che dell'atmosfera (nebbie). Evidenzia caratteri di microtermia, riuscendo a germinare anche a 10° C.
L'ambiente di produzione è submontano, su terreni situati tra 450 e 1.100 metri s.l.m. Il cece é una pianta da rinnovo; viene coltivato precedendo o seguendo il grano o altre graminacee quali orzo, avena, ecc.
Il cece di Navelli viene seminato con seminatrice a file con interfila di 35 cm e distanza sulla fila di 10-20 cm. La semina deve essere eseguita tra la III decade di aprile e la I di maggio. La densità di semina é di circa 20 piante a mq.
Un tempo la cicerchia era largamente coltivata su questo versante aquilano del Gran Sasso. La si seminava in rotazione con cereali (grano, orzo) e foraggere (lupinella) e la si usava non solo nella preparazione di minestre, ma anche nella panificazione e, torrefatta, come surrogato del caffè.
La cicerchia costituisce uno dei più tradizionali ingredienti nell'alimentazione quotidiana delle popolazioni rurali dell'Italia centrale dell'Italia centrale. Negli ultimi anni, tuttavia, la produzione è stata costantemente ridotta. La nostra cicerchia non è trattata chimicamente e non presenta residui antiparassitari, grazie alle caratteristiche ambientali e alla lavorazione del terreno che si effettua ancora tradizionalmente.
Uno dei piatti più sostanziosi e tipici della cucina abruzzese d’altri tempi è la minestra di ceci e castagne, che nella tradizione aquilana dei cibi rituali delle feste apriva il cenone della vigilia di Natale. Ma l’origine del piatto di magro "Cicera atque castanae" è ben più antica, come rivela un trattato di cucina in uso presso la corte napoletana dei D’Angiò. Anche per la realizzazione di questo piatto si parte da ingredienti tipici provenienti dalla montagna aquilana: ceci di Navelli (tenuti a mollo per una notte e lessati) e marroni (da abbrustolire, sbucciare e rompere in pezzi). Per amalgamare la zuppa di ceci e castagne si prepara un sugo finto al pomodoro, olio, sale, aglio e rosmarino e vi si lasciano insaporire per alcuni minuti i due ingredienti di base precedentemente cotti.
Lenticchie, ceci, fagioli, fave, piselli e farro in chicchi primeggiano tra gli innumerevoli ingredienti del minestrone abruzzese per eccellenza, le virtù, piatto unico, ricco di folclore e tradizione. Le Virtù sono il piatto fatidico del primo maggio, la cui ricchezza era tradizionalmente legata alla pulitura della madia che la massaia faceva il giorno prima, il 30 del mese di aprile, data considerata spartiacque tra la fine di un ciclo agrario e l’altro, tra i rigori (anche alimentari) dell’inverno ormai concluso e l’arrivo della più feconda e generosa primavera. Di conseguenza gli ingredienti impiegati nella preparazione saranno secchi e freschi, magari in numero di sette, a ricordo del tradizionale cenone della vigilia di Natale in cui si consumano sette pietanze, o in omaggio all’altrettanto tradizionale pasto della trebbiatura. Tra i legumi secchi saranno i fagioli borlotti, i ceci e le lenticchie (da mettere a mollo la sera prima e lessare separatamente); tra i freschi, i piselli e le fave; il tutto in quantità di due pugnetti per tipo. Di verdure, in piccole quantità, figurano: zucchine, carote, patate, carciofi e , necessariamente, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza. cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio. Il tutto in ridotte quantità. Tra spezie e aromi si contano: aglio, cipolla, maggio-rana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino. Altri ingredienti sono: olio d’oliva (un bicchiere e mezzo), burro (50 g), prosciutto crudo (250 g), cotiche di maiale, carne macinata di manzo (250 g), lardo (100 g), pasta di grano duro corta (250 g), pasta fresca con 4 uova (400 g), qualche tortellino e qualche raviolo di carne, polpa di pomodoro (500 g).